stasera parlo con parole d'altri. Le mie le ho messe nel ripostiglio, perchè erano troppo impazzite e si abbuffavano l'un l'altra
Lentamente muore
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
"Ci vuole tempo per tirare fuori la gioia dalla vita."
Oggi vorrei parlare di un tema a me molto caro e noto. Come sempre vi suggerisco anche una musica da mettere in sottofondo per la lettura. Ovviamente siete liberi di fregarvene, però è particolarmente adatto. E' un brano dal film "Il favoloso mondo di Ameliè". Particolarmente adatto perchè Ameliè è uno stato mentale che conosco bene, e riaffiora negli ultimi giorni sempre più spesso... Il tema, giusto, il tema è: sentirsi "l'altro"... Devo dire che è una sensazione che conosco meglio di quanto non avrei mai desiderato. Certo sentirsi "l'altro" può significare un sacco di cose. Ma nel mio caso è sempre signignificato sentirti altro dalla normalità. E non perchè io mi sia mai sentita "non normale", ma solo perchè questo è il modo in cui ho sempre percepito che mi vedevano le persone. Niente metafisica in questo, la spiegazione è semplicissima. Per il lavoro di mio padre, fin da piccolissima, non ho fatto altro che cambiare città. Nord, sud centro. Piccole città e metropoli, Italia o estero, non faceva differenza. Ad agosto si sapeva la destinazione, e via, chiudere i bauli e partire. Nuovo giro, njuova corsa. Io sono nata in Liguria, da un padre pugliese e una madre toscana. Non riesco nemmeno ad immaginare che accento potessi avere la prima volta che dalla liguria sono stata portata a Roma. So però che dal primo giorno ogni due parole che pronunciavo erano una risata dei miei compagni. Ero l'altro. La cosa strana. Non perchè avessi niente di strano addosso, ne perchè io mi sentissi tale, ma erano gli altri a farmelo notare, a farmi sentire così. I traslochi sono stati tanti, ma insomma la ligure nel percorso è approdata anche a Messina... Ricordo benissimo una mattina, in seconda media, in cui si parlava in classe dell'unità d'italia, e dei problemi di integrazione che ebbero i siciliani per colpa dei pregiudizi. Ricordo gli sguardi dei miei compagni come se fossi io la colpevole di tutto... Magari me lo sono immaginato, anzi probabile, però quel ricordo ce l'ho. Per tutta la vita sono arrivata in un posto in cui io ero "l'altro" e gli altri erano "noi".
A 18 anni non sopportavo più quella sensazione. Certo ormai a molte dinamiche tipiche mi ero abituata, e non ci soffrivo più, ma avevo bisogno di trovare un noi. Così quando ad agosto mia madre mi riferì che si andava a vivere a Bruxelles risposi "buon viaggio". Ovviamente ne seguì una lotta furiosa. Dovevo fare il primo anno di università e mi avevano gia iscritto nella migliore facoltà di giurisprudenza belga. Solo che io ero stanca, ed erano anni che dicevo ai miei che non avevo alcuna intenzione di studiare giurisprudenza. Così usai quella che finora era stata la loro arma a mio favore. Ricordate? La Vale è forte. Beh in quel caso fu uno tzunami. li minacciai di denunciarli di sequestro di persona se mi avessero costretto ad andare con la forza. Ormai ero finalmente maggiorenne, e le scelte le prendevo io. Furono giorni terribili, che iniziavano all'alba con urla furiose, e terminavano solo quando avevamo tutti finito la voce. Ma alla fine ebbi la meglio. Ecco, è da allora che smisi di essere l'altro. Finalmente Iniziai a sentirmi noi. La lingua lunga ce l'ho, l'aggressività pure, così creai il noi più definito e ben governato che le mie risorse mi permetterssero. Nel tempo avevo anche modificato il mio accento... Da quel giorno sono passati quasi 14 anni. Nel frattempo sono diventata il noi? Veramente no. A dire la verità non ero riuscita a tirarlo fuori nemmeno nell'intimità un noi, a dire il vero credo di essere considerata universalmente un pò strana, ache se almeno ora in senso buono. Il mio accento è quasi romano...quasi nel senso che i romani mi chiedono ancora di dove sono, ma per tutti gli altri sono decisamente romana.
Perchè stasera me ne esco con queste regressioni quasi freudiane? Perchè oggi mi sono successe due cose che mi hanno riportato a quello stato infantile dell'altro, e poco dopo ne sono stata tratta fuori con una dolcezza che poteva venire solo da chi non si rendeva conto di pronunciare parole per me magiche e profondissime. Parole che ad altri sarebbero suonate scontate, anzi che probabilmente non sarebbero nemmeno state registrate. Io però vi voglio raccontare solo le prime, anche perchè almeno sdrammatizzo un pò questo post, che pur non volendolo anche stasera è caduto sul pesante. Ebbene tutto nasce dal discutibile modo di Marrazzo di utilizzare il suo tempo libero. Penso che il fatto sia noto a tutti: Marrazzo, presidente del Lazio, ha ammesso di essere stato con un trans, trallaltro in compagnia di tanta neve bianca. A me sinceramente è dispiaciuto solo per la sua famiglia, perchè al livello politico ultimamente ho una gran confusione. Tuttavia stamattina al bar mi è stata fatta una battuta "complimenti per il presidente della tua regione" Niente, sono entrata in crisi. COme la mia regione?? Ma io vivo in Sardegna. Mica sono qui in trasferta per una settimana. Io la Sardegna l'ho scelta, dopo travagliate settimane di riflessioni. E' stata una scelta ponderata, e ora sono qui. Certo nn è che posso considerarmi Sarda. Insomma a dire la vertità, nessuno se la prenda, ma nemmeno ci tengo molto, però cavolo...quella frase mi ha fatto cadere in uno stato di insostenibile fragilità che avevo da tempo dimenticato. Sono altro, sono fuori. Anzi più semplicemente, ancora una volta sono terza parte. Perchè in ognuno di noi c'è io, noi, e la terza parte.
Mi viene il dubbio che questo mio status non sia cronico e malato. Non è che ne ho bisogno? Come a dire...voi pensate che essere normali sia essere "noi", mentre io sono così abituata ad essere la terza parte, che me la vado a cercare, perchè in fondo è quella la mia normalità?
Poi inaspettata, in questo mio caos, arriva quella frase, quel pensiero, che mi urla il contrario. li per li non l'ho notato...ma subito ho ripreso a sorridere. E così stasera, dopo aver tanto pensato alle cose successe, mi rendo conto che devo smettere di farmi paranoie vittimiste. No, non mi piace essere l'altro. Lo ho sempre odiato, e col senno di poi capisco anche di non esserlo mai stato veramente. ERo diversa certo, per piccolissime cose, ma non è mai esistito posto in cui la mia diversità non si trasformasse subito in "buffa" e poi in "simpatica" fino al non dovermi più definire con nient'altro che Vale.
Boh, quante persone saranno arrivate alla fine di questo post? Scusate, mi rendo conto che spesso divento noiosa, ma l'ho detto, questo blog a me serve. Qui tiro fuori, qui faccio lunghi percorsi emitivi, qui tiro fuori e abbandono.
Diciamo che dal momento che la mi terapista poverina ci ha lasciato, da allora parlo qui, invece che con lei.
Ora però non venite a chiedermi la parcella, che è un periodaccio
Notte notte amorini miei La strega vi saluta e va fare le ninne.
Lo so che come canzone è un pò scontata, ma a me ha sempre toccato il cuore. Mi sembra giusto aggiornare questo blog, soprattutto dopo la scia di commenti al mio ultimo post lamentoso.
Anzi veramente credo che l'ultimo commento che ho ricevuto, di Old wayfarer, valga di essere messo in prima pagina:
La situazione lavorativa in Italia è sempre stata disastrosa. La necessità di emigrare fa parte oramai del nostro DNA. E' dalla fine dell'800 che lasciamo le nostre case, i nostri amici e i nostri amori a caccia di un lavoro che, lontano spesso da quello dei nostri sogni, può diventare quello della nostra vita.
E, con l’eccezione degli amanti dell’avventura, non è mai stata una scelta facile (per le donne, poi, non ne parliamo). Né per chi va, né per chi resta.
Il rischio è che persone che si vogliono bene si allontanino affettivamente, oltre che fisicamente (e parlo per esperienza). I legami fra esseri umani non seguono le leggi biologiche del “tutto o nulla” ma quelle fisiche della continua trasformazione. Lo strappo di chi parte e la frustrazione di chi resta (che magari non ha condiviso o non è stato partecipe della scelta) non sono colpe per nessuno. Per questo ci si può incontrare su terreni diversi da quelli usuali…
io non avrei trovato parole migliori per dirlo, magari anche perchè la sto ancora attraversando quella fase, e non ho la razionalità di metterla nero su bianco.
Quello che sto passando in questi giorni è una tempesta emozionale. In realtà nel quotidiano sorrido e sono abbastanza serena. In fondo la qualità della mia vita è notevolmente migliorata. Non avrei fatto questo grande passo se non fosse stato per questo. Mentre scrivo ho come sottofondo le onde, stasera il mare è in tempesta, e gia questo per me è una ricchezza che non avrei mai pensato di avere. Però dentro qualcosa brucia. Brucia quello che ho lasciato, e bruciano le conseguenze di ciò che ho invece trovato.
Fino a non moltissimo tempo fa non sapevo nemmeno in che regione si trovava oristano, e ora mi ci ritrovo a vivere.
E' facile? Assolutamente no. Nella casa in cui sono ci sono troppi problemi, così sto per trasferirmi, e affrontare il secondo trasloco in meno di un mese. E questo lo devo fare da sola. Nel primo Daniele era con me.
Ora invece sono proprio sola, e nel prendere le mie scelte sto commettendo un sacco di errori. Ma ci sono, credo, anche scelte giuste. Se devo fare un bilancio, sinceramente nel complesso è positivo, certo però a che prezzo?!
Oggi è arrivato mio padre, uomo di 62 anni con un'anca non funzionante, che per la figlia ha affrontato una notte in poltrona di un traghetto, e oggi come conseguenza zoppicava. L'ho lasciato solo tutto il giorno, perchè io dovevo lavorare. Gli avevo lasciato le chiavi sotto lo zerbino. Quando a fine giornata sono rientrata e l'ho trovato a casa mi veniva da piangere per quanto ero felice. Mi ha abbracciato per più di 20 minuti. Siamo rimasti così, abbracciati...perchè lui sa.
Mi ha portato a mangiare fuori, e poi coccolata per tutta la sera. Mio padre ha fatto quello che sto facendo io prima di me. Prima di me è partito da solo per lavoro, per il bene di tutti, per il bene mio. Così quando ci siamo visti non ho dovuto spiegare nulla. Lui sapeva, e l'unica cosa che ha fatto è stato abbracciarmi a lungo, finchè il freddo che avevo nel cuore, che ho creato per poter fare tutto ciò, non è passato, e mi sono finalmente sentita al sicuro.
Ma ragazzi, io magari piango, frigno e faccio i capricci su questo blog, ma non lo faccio perchè abbia chissà quale dolore nel cuore. io sono convinta della mia scelta. SOno convinta che il lavoro sia parte fondante di una persona, e se dovevo passare dalla grande capitale ad una minuscola cittadina di un'isola per trovarlo, bej sono convinta di aver fatto la scelta giusta. Io frigno in questo blog solo perchè in questo modo riesco a lasciare le frigne qui, e procedere col sorriso. Metto qui quello che mi angoscia e ce lo lascio. Insomma una specie di guardaroba dei dolori. Come quando entri in un locale stupendo in pieno inverno, e te lo vorresti godere, ma hai giacca e borsa che ti impediscono di ballare. La cosa più logica è cercare il guardaroba e lasciarceli. Ecco cosa è questo blog per me, il guardaroba delle emozioni scomode. Le scrivo qui, e le deposito, in modo da poter affrontare tutto il resto a testa alta, e il mio sorriso a 80 denti. Cavolo quanto rumore, quando dolore, per trovare un pò di pace... ....e dire che io, VOLEVO SOLO LAVORARE!!!
vengono da me, un giorno dopo un giorno, un anno dopo l’altro, vengono da me Vengono da me, un giorno dopo uin giorno, un anno dopo l’altro, vengono da me
come non sapere? come non farsi fregare, come non potere avere niente da imparare, come non voler sapere quello che hai da dire, come non trovare mai la forza di affiorare
CASCA IL MONDO
CASCA LA TERRA
.......
…….
Ci sono certi giorni che sono più difficili di altri. Ci sono certi errori che hanno un prezzo maggiore di quello che c’era scritto sul cartellino, e azioni invece giuste, il cui costo sembra addirittura insormontabile. Oggi le ho vissute tutte insieme. Perché certe volte sembra che le persone si mettano tutte d’accordo per darti le brutte notizie nelle stesse tre ore?
E la cosa più terribile, è il leit motiv di tutto quello che mi sono sentita dire oggi: ma tu sei forte. Ma chi cappero ve l’ha detto che sono forte??? E cmq cosa vuol dire? Siccome io sono forte devo soffrire più degli altri? Ma che fregatura sarebbe?? E’ tutta la vita che me lo sento dire. Chi ci rimette sono sempre io, se si deve togliere qualcosa a qualcuno lo si toglie a me, perché tanto io sono forte. Uè, sono forte, mica un automa. Soffro anche io, come tutti, e accumulo. Da circa 31 anni accumulo. E non lo sopporto più di essere sempre in fondo alla lista della spesa, perché tanto io pago di meno. Ma non è vero!! Io non pago di meno, pago come gli altri, la forza che vedete voi non sta nel non soffrire, ma solo nel sapero nascondere meglio.
E cmq, fatto sta, che anche stasera mi trovo a fare quello che faccio da sempre: farmi forza, e voltare un’altra pagina.
Solo che non capisco. Quando ero piccola mi sembrava che i più forti fossero quelli che erano in cima alla lista, mentre nella realtà mi accorgo che se facessi un po’ più di moine, abbassassi più spesso lo sguardo, e cedessi più facilmente, solo così, sarei in cima alla lista.
Cosa mi è successo oggi? Negli ultimi mesi ho preso scelte che non avrei mai voluto mai prendere. Ho lasciato cose, e persone che mai nella vita avrei voluto lasciare. Io amo Roma, l’ho sempre amata. Adoro il suo casino e anche le sue puzze. Amavo la mia casa, e l’uomo che mi ci aveva portato dentro. Solo che di quella casa ero diventata una prigioniera, per colpa, certo, del lavoro. I soldi che non bastavano mai. Sapete cosa ho fatto questa estate? I salti mortali per pagare una bolletta della luce. Ecco perché ero sempre li, ecco perché le mie crisi isteriche, perché cercavo di non farmi staccare la luce.
I soldi non fanno la felicità??? Ma chi lo ha detto? Avete mai provato cosa vuol dire avere una laurea, un master, un universo di volontà e esperienze, e niente per comprare da mangiare? E così che tutto va a puttane, e così che cerchi altro. Solo che io in queste cose mi sa che non sono brava, e quando cerco cerco male. Cerco dove non dovrei guardare. E così, gli errori hanno un prezzo doppio, e le scelte giuste si pagano come un prestito da uno strozzino.
Ma la Vale è forte, Vale si riprende. E’ tutta la sera che combatto con queste parole: ma tu sei forte. E’ tutta la vita anzi.
E se io fossi stanca?Possibile che non possa mai tirare il fiato? Ragazzi lo so, sono mesi che mi lamento e basta. Non vedo l’ora di cambiare tono. Ma insomma io questo blog non lo scrivo per diventare famosa o raccogliere approvazione, lo scrivo solo per sfogare quelle cose che altrimenti non trovo le parole per dire.
Oggi devo chiedere scusa, perché con le mie scelte degli ultimi mesi ho provocato un dolore che davvero non avrei voluto causare. A me per prima. Ma non solo. Oggi sto rivedendo la mia vita, e cerco di capire come mai certe cose succedano sempre a me. Cerco di prendermi le mie colpe, perché accusare altri sarebbe troppo facile, e non sono per me le strade facili. Oggi cerco di capire come affrontare la prossima settimana, in una città in cui non so nemmeno dove trovare una farmacia. In una città in cui mi perdo in continuazione, e a me non era mai successo di perdermi da nessuna parte, e di città ne ho viste tantissime. Non ho nemmeno ancora trovato un’edicola. Ieri sono rimasta a piedi con la macchina, e niente, sono rimasta li. Non sapevo chi chiamare, cosa fare. Sono solo rimasta li a pensare al perché mi trovassi in quella situazione. Sono davvero così forte? Fatto sta che sono stata recuperata da un meccanico gay che mentre mi faceva ripartire la macchina mi raccontava di quanto è stronzoil suo ragazzo. E poi sono ripatita, piangendo, come una bambina col ginocchio sbucciato…
C’è qualcosa che non capisco di questa città, e di chi la abita. Qualcosa che mi sfugge e per cui continuo a perdermi e sentirmi così persa.
Cosa c’entra questo col blog? Non sarei mai venuta qui se non fosse stato per il lavoro. Domani dovrò tirere fuori il migliore dei miei sorrisi, mentre dentro mi sentirò così persa. Faccio la donna, mentre dentro non sono altro che una bambina terrorizzata.
Mi sento così persa.
In fondo, se non riesco mai ad essere felice, sicuramente è colpa mia. Devo solo capire cosa sbaglio. E possibilmente farlo in fretta.
Persa Persa Persa
….vorrei così tanto una mano che mi prendesse e mi tirasse fuori da questo casino Ma Vale è forte, Vale si rialza da sola.
Che grandissima cazzata. Sono letteralmente in ginocchio. Ho gli occhi gonfi e la testa che mi scoppia. Cazzo io volevo solo lavorare. Ma quanto devo pagare per vivere una vita dignitosa? Quanto dolore ancora potrò reggere?
Stasera mi hanno mandato una foto di un giorno in cui ero felice:
Buona notte, che la vostra sia migliore della mia.
Ecco qui, la prima settimana del nuovo lavoro è passata. Direi che è decisamente arrivato il momento di fare un primo e molto generico bilancio.
Direi di farlo da copione:
1. LA SVEGLIA
Roma: nei sei mesi di disoccupazione sveglia verso le 13 ad opera delle mie due gatte che muoiono di fame, ed avendo imparato che miagolare non ha effetto (perché ottengono solo che le chiudo fuori) hanno imparato a farmi le fusa nelle orecchie per ore, finchè non cedo.
Nei sei di impiego (come sapete questa è sempre stata la media finora) sveglia alle 6 per entrare in ufficio alle 9.30. Le gatte nemmeno sanno che esisto a quell’ora, latte e caffè trangugiato in bagno nei tre secondi in cui mi preparo, e poi un’ora e passa di traffico a passo d’uomo, durante la quale maledico me, tutti gli altri sfigati in coda con me, il mio datore di lavoro per non aver capito che dovrebbe spostarsi vicino a casa mia, le gatte per non avermi fatto le fusa, Veltroni o chi per lui, tanto non importa chi è, e tutto l’emisfero sud occidentale per trovarsi sulla mia stessa strada in quello stesso momento. E soprattutto il tizio con la smart che è convinto che siccome la sua macchina è poverina mutilata di un fondoschiena, può comportarsi come se fosse su uno scooter mentre ha una cazzo di macchina in mano in cui trallaltro non si può nemmeno trombare, e rompe solo le palle. Al secondo semaforo mi torna su il latte e parte la gastrite. Arrivo in ufficio, sempre e comunque in ritardo, vuoi per un incidente, vuoi per il semaforo di viale regina margherita che è semestrale, o per occasionali lavori in corso. Fatto sta che arrivi in ritardo. Segue spiata della collega arrivista e sfigata che viaggia con la metro al capo, e la mattina inizia con una fantastica cazziata.
Oristano: sveglia alle 8.30 per essere in ufficio alle 9.00 Colazione per ora in spiaggia, poi certo quando farà freddo in salone con finestrone su spiaggia. Le gatte variabili. A quell’ora alcune volte hanno fame, altre le sveglio io e mi vengono dietro. Alle 9:00 mi metto in macchina, semafori non ce ne sono. Alle 9.02 mi fermo per comprare il giornale. Alle 9.04 mi fermo a prendere un caffè. Alle 9.10 sono in ufficio. I colleghi non ci sono, tranne una, e il capo non si vedrà fino all’una. Gli altri arriveranno verso le 10. Accendo il pc e leggo la posta, poi sbrigo le cose più urgenti e vado al bar nella piazza vicina, con i colleghi arrivati, a prendermi un caffè. Sono circa le 10.30
2. IL PRANZO
Roma. Vabe nei mesi da disoccupata semplicemente non c’è, in pratica coincide con la colazione Quando lavoro invece la pausa in teoria inizia alle 13.30 e finisce alle 14.30 In quel lasso di tempo riesci più o meno ad arrivare al bar a piedi (mica vorrai prendere la macchina??? Gia ci ho messo un’ora a trovare parcheggio la mattina, non la sposto nemmeno se mi spari e anche la sera mi piange un po’ il cuore a muoverla da li), fare la fila per vedere cosa c’è da mangiare oggi, poi fare la fila per fare lo scontrino. Poi ordinare il tuo cazzo di panino, prenderlo e portartelo in ufficio. Perché per quando te l’hanno scaldato sono le 14.30 e devi rientrare, mangiando mentre cammini. Ovviamente anche in quel caso ritarderai di 10 minuti, e troverai pronta la collega sfigata, che il pranzo se lo cucina sempre la sera prima e se lo porta in quelle tristissime vaschette sigillate, che appena possibile farà notare al tuo capo che anche a pranzo eri in ritardo. Ma muori, tu e le tue cazzo di vaschette.
Oristano. La pausa è alle 13 Alle 13.05 sono a casa. Metto l’acqua per la pasta, mangio, e poi faccio il pisolino Il rientro è tra le 15.30 e le 16.00, a proprio piacimento. Io in genere arrivo alle 15.40, e siccome non trovo nessuno e non ho le chiavi, me ne vado al bar a prendere un caffè. Non credo serva aggiungere altro.
Anzi per oggi proprio non aggiungo niente. Vi dico solo che non ho più gastrite da 7 giorni, e questa volta il pensiero del semestrale mi terrorizza. Si perché anche questa volta ho solo un contratto di sei mesi.
Incrociate le dita per me, che non sia il solito sfruttamento a contributi zero, perché io non ce la faccio più. Ho lasciato casa, città, amici ecc ecc, inseguendo il sogno di quel lavoro. Cavolo per i nostri genitori era solo una rogna, per me è la mecca, il santo grahal, la mitica atlantide e babilonia unite….
Da Roma a Oristano, dicendo addio a tutto e tutti….cazzo deve fare di più una persona per smettere di essere precaria? IO VOGLIO SOLO LAVORARE!!!!!!
…un’estate di silenzio sul blog, silenzio che mi è servito per vivere, e mettere in atto tutti quei progetti che avevo per cambiare la mia vita, e renderla, finalmente, migliore. Pensavate che fossero tutte chiacchere? Quella mia voglia di cambiare, il mio rifiuto di arrendermi. Beh non lo erano... ....volevo andarmene da Roma, volevo trovare un lavoro migliore, volevo che la mia vita smettesse di essere misera. Ecco ce l’ho fatta. E ne sono fiera. Cosa ho combinato in questi due mesi? Beh torniamo da dove ero rimasta: stavo cercando di emigrare. Quello purtroppo non ci sono riuscita, però ci sono andata vicina. Dalla grande capitale infatti sono riuscita a trovare un buon lavoro in Sardegna. Ci credereste? L’ultimo posto in cui avrei mai immaginato di vivere, eppure è stato così. Certamente non è stato facile. Un conto è cercare un cambiamento, tutt’altro è trovarlo. Li devi passare dalle parole ai fatti, e, credetemi, ci vuole più coraggio dare un taglio netto alla quotidianità infelice ma certa, che ad andare in guerra. Io nella mia vita le ho fatte tutte e due, e la Palestina per assurdo mi ha richiesto meno coraggio di questo. Però….però oggi vi scrivo da una spiaggia. Avete presente quella casetta bianca in riva al mare, con il patio su cui volevo sistemare le mie tele e i colori ad olio? Non mi ricordo se ve ne avevo gia parlato, ma è una vita che se penso a come vorrei vivere, mi immagino così. E’ così che vorrei diventare vecchia, in quella casa sul mare, con i miei mici che mi girano intorno, le mani sporche di pittura, su un patio in riva al mare. Ecco, è esattamente dove mi trovo ora, mentre scrivo. Certo ora non sto dipingendo con i colori, ma nell’altro modo che conosco, con le parole, sto dipingendo per voi quello che è stato il più grande atto di forza della mia vita. Ho lasciato la casa dei miei sogni, nella città più bella del mondo, ho lasciato l’uomo i cui respiri ero convinta sarebbero sempre stati i miei, ho lasciato una vita di serate mondane e tanti amici e conoscenti che la popolavano, per una terra in cui l’unico suono sono le onde. Ho lasciato un mondo in cui tutti siamo un numero, ed ognuno a modo suo un numero diverso, per una terra in cui i volti si somigliano tutti, e tutti hanno in viso lo stesso numero, quello della schiettezza. Non so bene come spiegarlo, non che i sardi siano persone migliori, ma semplicemente credono ancora in cose migliori. Qui le si lasciano le porte aperte, e alle finestre non ci sono inferriate. Qui i contratti si fanno sulla parola, e non rispettarli è un disonore molto più grave che una causa in tribunale. Qui la pausa pranzo dura due ore e mezza, perché si deve poter andare a casa a mangiare un pasto sano e magari farsi anche la pennichella. E poi, scusate se cado nel gretto materialismo, ma qui per una casa sulla spiaggia pago 250 euro al mese, contro i 950 di Roma. Sono improvvisamente diventata benestante, da poraccia con le pezze al culo che ero diventata a Roma. Certo, ci vuole coraggio a farlo. Ci vuole coraggio ad abbandonare quella vita di feste, cazzeggio, e lusso che molti vorrebbero, però, avete capito cosa si trova sull’altro piatto della bilancia? Tanto vantaggio da una parte, quanta paura hai dovuto caricare sull’altro piatto. Che dirvi, la bestiaccia è tornata sul blog, reduce dall’ultima battaglia, che ha vinto. Ora scusatemi, ma credo che mi farò una passeggiata sulla spiaggia…..ed è così che la donna che organizzava i fetish party e faceva le sei del mattino ha scelto di crescere.
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